Paolo Lorini parte seconda: come trovare e gestire nuovi clienti sui canali offline (muovendoti come un killer)

Spunti utili:
- come Paolo usa le fiere di settore per farsi conoscere
- come sfrutta i “mesi jolly” per chiudere nuovi progetti
- come gestisce il primo incontro con il cliente
- come sfrutta l’occasione per raccogliere informazioni “nascoste” del cliente
- perché non manda il preventivo ma lo presenta dal vivo
- come Paolo organizza un progetto in diverse fasi e le vende separatamente
Questa è la seconda parte della Conversazioni Illuminante di Super Good Life con Paolo Lorini (www.paololorini.com).
Se non l’hai ancora letta, ti consigliamo di cominciare qui dalla prima parte.
Iniziamo… da una domanda clou.
Come trovi nuovi clienti?

La nostra idea è che se rimani soltanto nell’ambito del passaparola e non inizi a mettere in piedi sistemi che poco alla volta crescono per farti andare oltre a questo, difficilmente riuscirai a crescere nel futuro.
Tu hai un sistema di lead generation per la tua attività?

Certamente il passaparola è fondamentale, ma funziona bene solo se si ha già una rete e una certa reputazione all’interno di essa.
Lavoro ormai da 18 anni nel mondo del design, quindi ho sviluppato una rete di persone legate al mondo del progetto che sanno bene cosa faccio e dove trovarmi in caso di necessità.
Faccio il consulente e advisor indipendente solo da 7 anni, quindi le aziende mi conoscono sicuramente meno, ma in questo ambito le cose funzionano diversamente: dirigenti e manager si spostano spesso da un’azienda all’altra o più semplicemente da una divisione all’altra all’interno della stessa azienda.
Questo crea nuove opportunità di lavoro con le stesse persone, ma in contesti diversi.
C’è poi il tema della reperibilità, ovvero la disponibilità a rispondere in ogni momento alle domande di chi mi scopre e vuole iniziare a dialogare subito per comprendere come potremmo lavorare insieme.
In fondo al mio sito è riportato il mio numero di cellulare: questo significa che un potenziale cliente basato in Australia potrebbe svegliarmi nel cuore della notte per esplorare una possibilità di collaborazione.
Questo sinceramente non è ancora successo, ma io comunque rispondo sempre al telefono, oppure, se al momento della chiamata sono impegnato e proprio non posso rispondere, richiamo.




Cerco di partecipare a eventi interessanti almeno una volta ogni 10-15 giorni, ma mi chiedono di intervenire come relatore molto più di rado, direi 3-4 volte all’anno: troppo poco!
Dovrei pormi l’obiettivo di essere ben più visibile.

Intervenire in conferenze almeno una decina di volte all’anno mi permetterebbe di farmi conoscere da un pubblico molto più ampio e di tenere sempre alta l’attenzione sul mio nome.
Un’altra cosa che potrei fare è aprire un blog o un canale YouTube.
Onestamente questo tipo di attività richiede un impegno costante che in questa fase della mia carriera non sono in grado di garantire.
Piuttosto che partire sull’onda dell’entusiasmo e fermarmi dopo 4 o 5 post, preferisco concentrare le mie energie sui progetti per i miei clienti, che fortunatamente non mancano mai.
Anzi, ti dirò che quando vedo professionisti, imprenditori, freelance o startupper che postano ogni giorno o quasi, mi chiedo sempre: “Ma questo lavora anche oppure comunica soltanto?”.
Parlando con dirigenti e manager che lavorano nelle aziende che conosco, in diversi mi hanno detto che questa è la loro stessa impressione.
Leggere blog e guardare video su YouTube piace a molti di loro, ma poi quando scelgono le persone con cui lavorare, preferiscono affidarsi a chi parla di meno e fa di più.
Però ecco il “segreto” più importante: secondo me è dispersivo e inutile per un consulente dedicarsi in modo continuativo ad attività di promozione.
È invece molto più efficiente ed efficace essere nel posto giusto al momento giusto.
Io ho messo a punto e utilizzo un metodo basato sui cicli di lancio di nuovi prodotti nei diversi settori merceologici in cui lavoro già o in cui voglio entrare.
In periodi ben precisi di questi cicli (che possono durare da 1 anno nei settori caratterizzati da prodotti relativamente più semplici e commerciali, a 4-5 anni o anche più nei settori dove ricerca e innovazione sono più centrali), le aziende sono particolarmente attive nella ricerca di nuovi partner e nuove risorse con cui lavorare.
In altri periodi, invece, le stesse aziende hanno già formato il team di progetto e sono completamente assorbite nelle loro attività di ricerca e sviluppo, progettazione, ingegnerizzazione, produzione, lancio, promozione, vendita.
In questi periodi le aziende e non hanno tempo né voglia di essere contattate ed è quindi meglio lasciarle lavorare.
Gli eventi che scandiscono i cicli di lancio di nuovi prodotti dei diversi settori merceologici sono le fiere: è qui che le aziende presentano al mondo i propri prodotti e servizi. Il mio metodo consiste nell’impostare e tenere sempre aggiornata una mappatura precisa delle fiere più importanti per i settori merceologici che mi interessano.
Per il momento sto lavorando con l’Europa, dove ci sono di fatto 3-4 nazioni importanti per le fiere: l’Italia, la Germania, la Francia e anche la Spagna per alcuni settori.
Con il passare del tempo mi sono reso conto che se tengo monitorate Italia e Germania riesco a coprire l’80% delle fiere che mi interessano.
Poi studio quanto tempo impiegano le aziende a progettare i loro prodotti e servizi.
Se la fiera è in aprile, prendiamo ad esempio il Salone del Mobile, e le aziende ci mettono 8 mesi a preparare questa fiera, cerco di parlare con l’azienda almeno un mese prima che loro avviino il progetto.
Ti faccio un esempio più preciso: se mi interessa lavorare nell’ambito degli scarponi da sci, la fiera di riferimento in Europa è ISPO, che si tiene ogni anno tra gennaio e febbraio a Monaco.
Ciò che faccio non è solo andare quasi tutti gli anni a ISPO per restare sempre aggiornato su ciò che presentano le aziende attive nel settore, ma anche studiare il prodotto, parlare continuamente con gli addetti ai lavori dei nuovi materiali e delle nuove soluzioni presentate e soprattutto sapere che gli scarponi da sci, in linea di massima, seguono tre diversi cicli di lancio: la grafica viene rinnovata quasi ogni stagione, gli accessori e componenti una volta ogni 2 stagioni, mentre scafo e gambetto hanno un ciclo di vita molto più lungo, che arriva anche a 5 o 6 stagioni a seconda di quanta neve cade sulle piste da sci e quindi di quanti scarponi si vendono per recuperare l’investimento effettuato sugli stampi di scafo e gambetto della generazione precedente.
Devo poi espandere queste informazioni all’ampiezza e alla profondità della gamma di scarponi da sci di un’azienda e moltiplicarle per tutte le aziende con cui mi piacerebbe lavorare.
La mole di informazioni da conoscere, processare e tenere aggiornata non è indifferente, ma mi permette di stimare con buona precisione il momento ideale in cui riprendere i contatti con un’azienda in cui conosco già qualcuno, oppure contattare per la prima volta un’azienda che in cui non conosco nessuno.
Un’altra cosa che le persone dentro le aziende apprezzano, è quando questi contatti che arrivano dall’esterno non sono semplicemente delle proposte commerciali, ma diventano dei momenti di scambio di informazioni interessanti a cui per loro non è facile accedere, specialmente se sono concentrati 8 ore al giorno solo ed esclusivamente sul proprio lavoro.
In altri termini, credo che un approccio del tipo: “Sono un freelance, ho queste competenze, hai un lavoro da darmi?” sia controproducente. Un approccio che crea uno scambio di valore è invece: “Nel settore dei wearable sta succedendo questa cosa interessante.
Secondo me potrebbe avere un potenziale interessante nel settore degli scarponi da sci. Se ti interessa, potremmo lavorarci insieme.”
Da un approccio di questo tipo può nascere un dialogo che, se è ben condotto e se il momento è propizio, può portare alla nascita di un progetto di uno scarpone da sci innovativo.

“Paolo Lorini. Branding by Design. Exploring Design, Assolombarda Milano, 19 febbraio 2013.”
“Paolo Lorini e Boram Park. Good Design is Good Business. International Workshop, Hongik University, Seoul, 26-28 novembre 2015.”
“Paolo Lorini e Andrea Alessandri. Innovare è un must – Nuove forme di saper fare. FederlegnoArredo, La Triennale di Milano, 2 dicembre 2016.”
Come sfruttare le fiere?

È necessario tenere sempre a mente un concetto molto semplice e ovvio:
Le aziende sono in fiera non per comprare ma per vendere.
Poi è utile differenziare l’attività tra azioni da svolgere verso aziende in cui si conosce già qualcuno e azioni da svolgere verso aziende in cui non si conosce ancora nessuno.
Io faccio così.
Con le aziende in cui ho già degli interlocutori, li chiamo qualche settimana prima della fiera per cercare di capire se questa edizione dell’evento per loro sarà importante, ovvero se presenteranno prodotti o servizi completamente nuovi o semplicemente aggiornamenti a quelli già a catalogo.
Poi cerco di fissare un incontro in azienda circa un mese dopo la fiera, quando le “acque si saranno calmate”.
Ovviamente durante la fiera passo presso lo stand dell’azienda, mi faccio raccontare i prodotti e servizi, e rinfresco data e ora dell’appuntamento al mio interlocutore.
Per le aziende in cui non conosco ancora nessuno, invece, prima di andare in fiera, io e Carola (di cui ho parlato nella parte precedente dell’intervista), analizziamo le piantine dei padiglioni per capire quali sono le aziende di riferimento a seconda di dove sono posizionati i loro stand, poi visitiamo i siti web delle 30, 40, 50 più interessanti per effettuare una prima scrematura, infine organizziamo un percorso preciso di visita per massimizzare l’efficacia della mia visita.
Per quanto riguarda la visita degli stand, c’è una tecnica che ho sviluppato durante gli anni di lavoro in Samsung, quando visitavo tutte le fiere di settore per analizzare in dettaglio i prodotti della concorrenza.
Ovviamente in quelle occasioni dovevo dissimulare il mio ruolo, perché chiaramente se Dell, Bosch, Sony o Whirlpool si fossero accorti che ero della concorrenza, mi avrebbero cacciato dallo stand.
In verità questa cosa è successa un paio di volte, ma nella maggior parte dei casi la passavo liscia e riuscivo ad acquisire moltissime informazioni!
Quando entro nello stand, invece di passare dalla reception, cerco immediatamente di capire quale sia il prodotto o il servizio più nuovo e interessante e mi dirigo immediatamente verso di esso.
Normalmente questi prodotti sono presidiati da un commerciale, che inizia subito a presentarne le caratteristiche.
Io ascolto la spiegazione in silenzio e cerco di individuare quale sia la domanda giusta da porre, quella che non si aspetta, quella per rispondere alla quale deve approfondire il tema con qualcun altro in azienda.
Si tratta di un gioco psicologico molto interessante: devo porre la domanda nel modo giusto, per evitare che l’interlocutore vada “in chiusura” e blocchi la mia esplorazione.
Se la domanda funziona bene, di solito fa scattare una reazione positiva, di interesse verso i miei confronti, tale per cui il commerciale inizia ad intuire che presentarmi a qualcun altro in azienda, magari a chi ha progettato il prodotto, potrebbe permettergli di fare bella figura, di portare valore.
La mia tecnica consiste quindi nel non forzare l’approccio, nel non chiedere direttamente di essere presentato ad altri, ma nel fare in modo che l’idea di presentarmi venga spontaneamente all’interlocutore, che sia lui a darmi nome, cognome e contatto della persona giusta con cui parlare in azienda.
Questa tecnica richiede circa 20 minuti a stand, che si traducono in 3 stand all’ora, che moltiplicate per le ore di apertura della fiera mi permettono di visitare miratamente circa 20 aziende in un giorno, raccogliendo esattamente ciò che mi serve: il contatto della persona giusta.
Al rientro dalla fiera inizia l’attività di follow-up, fatta di telefonate, email, incontri, ascolto, ascolto, ascolto e ancora tanto ascolto.
Le fiere secondo me sono ancora fondamentali, anche in un’epoca dove tutto avviene online.
Nel nostro DNA c’è scritto che possiamo fidarci di più di una persona a cui abbiamo stretto la mano almeno una volta.


E ovviamente lavoro tanto, tantissimo.
Tieni presente che da attività di questo tipo una redemption del 10% è assolutamente normale.
Ovvero, se in due giornate in fiera visito 30-40 stand, poi mi aspetto di riuscire a fissare incontri con 3 o 4 aziende al massimo.
La fiera è un contesto di grande eccitazione in cui si tende a promettere molto, ma, una volta tornate in ufficio, le persone trovano ottimi motivi per non incontrarti: per uno non è mai il momento, all’altro non interessi, un altro ancora ti percepisce come troppo caro rispetto al valore che potresti portare a lui personalmente, oltre che all’azienda, o ancora, a qualcuno semplicemente non piaci.
E ti assicuro che quando non c’è un feeling immediato, quasi istantaneo, è quasi impossibile costruirlo nel tempo.
In sintesi, come ho già detto, credo che non abbia senso essere costanti tutto l’anno e fare un sacco di promozione tutte le settimane.
È più efficace individuare settori merceologici interessanti, studiarli in profondità, e pianificare per tempo un’attività intensa e mirata in alcuni momenti focali dell’anno.
In questo momento io sto cercando nuovi clienti in settori come l’automazione industriale, la sicurezza, realtà che stanno iniziando solo a comprendere il valore di avere un brand posizionato bene, di poter fornire ai propri clienti un’esperienza di qualità, insomma aziende che stanno scoprendo la potenza del design.
Secondo me invece questi settori sono veri e propri “blue ocean”, con un potenziale elevatissimo, in cui è possibile concepire e sviluppare progetti fantastici.


Ad esempio chi progetta interfacce non deve andare solo alle fiere di settore.
Anzi, proprio l’opposto!
Ti faccio un esempio concreto: Agritechnica, che si tiene ogni due anni a metà novembre ad Hannover, è una fiera assolutamente eccezionale: in quell’occasione le aziende più importanti del mondo per il settore agricolo presentano trattori grandi come case, macchine che arano ettari ed ettari di campi ogni giorno senza operatore grazie a sistemi satellitari, e altre meraviglie del genere.

In un settore come questo, ci sono interi universi che il design non ha ancora raggiunto.
Io sono totalmente patito di queste fiere. Mi interessa osservare, scoprire, capire, approfondire.
Una volta ho visitato lo stand di un’azienda, in cui non conoscevo nessuno, specializzata nella produzione di macchine dedicate alla coltivazione automatizzata delle carote.
Ho avuto la fortuna di incontrare un ingegnere progettista bravissimo che mi ha orgogliosamente spiegato l’ultima innovazione sviluppata da lui e dal suo team, che permetteva di risolvere una serie di problemi tipici di quest’attività e quindi migliorare notevolmente efficienza e redditività.
L’interfaccia utente di tutto il sistema non seguiva però le regole dell’euristica, era difficile da usare e non trasmetteva il valore dell’innovazione introdotta.
La mia domanda in questa occasione è stata: “Questo progetto è davvero stupefacente, complimenti! Quante operatori avete intervistato per realizzarlo?”.
La sua risposta è stata: “Nessuno! Siamo partiti dai requisiti tecnici, abbiamo fatto questo processo, questo è il risultato.”.

E da lì è partita una conversazione sulla progettazione user-centered, un approccio che l’azienda non conosceva, ma che ha stimolato l’interlocutore a chiedermi di vedere il mio portfolio di lavori svolti in settori completamente differenti, che ovviamente avevo con me sul mio iPad, e così via.
Insomma, secondo me chi svolge una professione creativa e si limita a frequentare fiere ed eventi del proprio settore, incrocerà tantissimi colleghi, ma pochissimi prospect!
Deve invece avere il coraggio di uscire dalla propria comfort zone ed esplorare mondi nuovi, per capire come applicare le proprie competenze ad essi.
I lavori più interessanti si nascondono dove meno te li aspetti!

Altri segreti per fare progetti con nuovi clienti?


Un momento caldo è il periodo tra settembre e novembre.
È quello in cui i manager delle aziende devono finire di spendere tutto il budget dell’anno, perché altrimenti l’anno successivo non viene allocato su di loro lo stesso budget.
Immagino tu sappia bene come funziona: se un anno il manager dispone di un budget di 1 milione di Euro e ne spende solo 800.000, l’anno successivo i suoi obiettivi saranno ridimensionati e disporrà di un budget di 800.000 Euro.
In azienda nessuno vuole vedere ridimensionati i propri obiettivi e questo significa che in questo periodo dell’anno ci siano dei leftover di budget che i manager devono assolutamente utilizzare: magari non hanno proprio bisogno di te, ma se tu li intercetti nel momento giusto e ascolti le loro esigenze, riesci a proporre progetti agili, ottimi per farsi conoscere e per testare una relazione.
Uno dei vantaggi di questo tipo di progetti è che normalmente l’azienda ha necessità di saldare il totale dell’investimento entro la fine dell’anno, anche se il progetto prosegue per qualche settimana anche nell’anno nuovo.
Questo ti permette di chiudere il fatturato dell’anno con un certo slancio!
L’altra attività che i manager svolgono nel periodo autunnale è definire i budget per l’anno successivo per presentarli alla proprietà o alla dirigenza.
Questo quindi è il momento ideale per ricontattare le aziende in cui conosci già qualcuno e presentare una proposta per un progetto che, se approvato, sarà avviato nel nuovo anno.
Tra settembre e novembre è fondamentale avere una corposa lista di numeri da chiamare.
Spesso puoi fare scoperte interessanti!
Gestione del processo di vendita


Se abbiamo già lavorato insieme, l’interlocutore conosce me e il mio team, io conosco lui e la sua azienda.
In questi casi, lui sa come formulare una richiesta relativa a una nuova esigenza che si è creata in azienda e sa che tipo di valore posso portare rispetto a quella esigenza.
Questo mi facilita nel definire una proposta di progetto molto precisa, che tendenzialmente l’interlocutore accetta senza troppe discussioni o negoziazioni.
Un caso intermedio è quando l’interlocutore ha cambiato datore di lavoro e quindi mi contatta per propormi di svolgere un’attività di consulenza per la sua nuova azienda.
In questa situazione, se la relazione di fiducia reciproca instaurata in precedenza lo consente, mi piace lasciarmi supportare dal mio interlocutore nel processo di conoscenza della nuova azienda e nella definizione di una proposta di progetto che risponda alle sue esigenze.
Il caso più sfidante, ovviamente, è quello dei lead che diventano prospect, ovvero quando devo gestire un processo di vendita con un interlocutore nuovo per me, che lavora in un’azienda nuova per me.
In questa situazione parto da un’analisi approfondita dell’azienda: persone innanzitutto, ma anche visione, missione, valori, storia, cultura, per arrivare ovviamente a prodotti, servizi, attività di marketing e linguaggio di comunicazione sui canali sia online che offline.
Svolgo questa analisi principalmente online, attraverso il sito istituzionale e altre risorse disponibili, avviandola appena ricevo una richiesta di incontro da parte dell’azienda, oppure, nel caso in cui sia io stesso a propormi a un’azienda, molto prima.
Vi è poi il primo incontro di presentazione in azienda, un passaggio fondamentale.
Tendenzialmente a questo incontro vado con Carola, la mia collaboratrice che mi segue su tutti i progetti.
Lei ha la capacità e la possibilità di cogliere una serie di aspetti complementari rispetto a quelli che colgo io.
Innanzitutto lei è donna, quindi molto sensibile nei confronti dell’energia emozionale che c’è in azienda, un fattore determinante per la qualità della relazione che è possibile instaurare e mantenere con gli interlocutori aziendali.
Inoltre, io sono in modalità presentazione, mentre lei è in modalità osservazione, quindi ha molto più tempo ed energia da dedicare alla comprensione del contesto e delle persone.
Durante questo primo incontro normalmente presento me stesso e il mio modo di lavorare a più figure aziendali con ruoli differenti, che sono lì per conoscermi e valutarmi. Per fare ciò, mostro il mio profilo e alcuni casi studio scelti ad hoc tra i miei vari progetti.
Poi passo alla fase di ascolto. In linea di massima, quando un’azienda mi chiama e mi vuole conoscere significa che c’è un tema su cui lavorare: a volte si tratta di un problema da risolvere, altre volte di un’opportunità da cogliere. Saper ascoltare significa anche applicare la maieutica per far sì che i partecipanti a questo primo incontro inizino a raccontare aspetti importanti e non pubblici relativi alla situazione aziendale. Solo attraverso questa conoscenza e condivisione più profonde si possono mettere le basi di un progetto di successo.
Dopo la fase di ascolto viene il momento del dialogo, in cui gli interlocutori presenti all’incontro desiderano conoscere immediatamente la mia opinione sui problemi o sulle opportunità che mi hanno presentato.
A mio avviso, in queste situazioni, mantenere un atteggiamento neutrale o attendista non paga: io preferisco prendere una posizione chiara, benché sempre educata e rispettosa, e sostenerla in modo diretto.
Nella mia esperienza, questo modo di fare viene normalmente apprezzato dagli interlocutori aziendali più intelligenti, mentre quelli che esprimono disagio spesso diventano problematici da gestire nel corso del progetto.
Un’altra cosa che cerco di fare sempre in occasione del primo incontro è visitare l’azienda.
Solitamente le sale riunioni sono molto vicine all’ingresso, poi ci sono gli uffici e più nascosti ci sono produzione e magazzini.
Per andare in produzione si passa quindi dagli uffici e si possono vedere gli spazi, le espressioni sui visi delle persone, quante carte ci sono sulle scrivanie, e così via.
Poi si arriva in produzione e si vede quanto è pulito o sporco per terra, che odore c’è nell’aria, se l’azienda si occupa solo dell’assemblaggio di componenti consegnati da fornitori terzi oppure se produce internamente tutto, se gli operai sono felici, silenziosi, ordinati o disordinati, quanto è buono il caffè dei distributori automatici, e così via.
Sapendo leggere tutti questi segnali, è possibile raccogliere in poco tempo una grande quantità di informazioni che permettono di farsi un’idea abbastanza precisa dell’azienda.
Tra le 24 e le 48 successive invio una email di follow-up a tutti i partecipanti all’incontro, in cui, oltre ai ringraziamenti per il tempo dedicatomi, riepilogo i temi trattati e dichiaro quali saranno le successive azioni che effettuerò per rispondere alle richieste ricevute.


La email di follow-up di fatto la prepara lei senza che io neanche glielo chieda, poi me la sottopone, io sistemo pochi dettagli e invio.
Nei giorni successivi preparo la proposta di progetto, che parte sempre dalla sintesi della richiesta ricevuta, presenta poi il processo completo di fasi e relative tempistiche, esplicita i risultati che sarà possibile ottenere in ogni fase, per poi concludersi con l’investimento richiesto.
A meno di casi eccezionali, non invio mai via email questa proposta. Chiedo invece di poter organizzare un incontro per presentarla di persona in azienda.
Per esperienza, ritengo che un’offerta “nuda” abbia poche probabilità di essere accettata, almeno per il tipo di consulenza che propongo io.
Specialmente se l’interlocutore aziendale la riceve via mail, la sua attenzione si concentrerà solo ed esclusivamente sul prezzo, con tutte le conseguenze del caso.
Una proposta, invece, è un racconto che permette all’interlocutore di vedere nel futuro e immaginare come si svolgerà il progetto.
Avere l’occasione di poter presentare di persona questa proposta permette di comprendere immediatamente come viene accolta e aumenta notevolmente le probabilità che sia accettata.


Anche dai rifiuti è possibile imparare molto per i futuri progetti con la stessa azienda o con altre.
Chiaramente se la proposta presentata vale 100 e il rifiuto dipende dal fatto che il prospect si aspettava 25, allora c’è un problema di prezzo.
Se invece mi dicono che non è il momento giusto per affrontare il progetto, allora chiedo quando posso richiamare.
Ho una gestione estremamente metodica del calendario, dove segno veramente tutto.
Questo mi permette di richiamare l’interlocutore nel momento preciso che mi ha indicato.
In caso di conferma del progetto, è sufficiente seguire quanto pianificato nella proposta che il cliente ha firmato.
Nelle mie proposte sono indicati tutti i dettagli necessari: ruoli e responsabilità di tutti gli attori coinvolti, anche quelli interni all’azienda, date e orari di tutti gli incontri da tenere, consegne previste, e così via.
Nella realtà dei fatti, la gestione di un progetto non è sempre così lineare. Spesso ricevo richieste di modifica ad alcune fasi del processo prima del kick-off, per approfondire meglio alcuni aspetti rispetto ad altri.
Altre volte inserisco nuove attività in corso d’opera, perché dopo aver affrontato le prime fasi si scoprono aspetti che non si potevano immaginare all’inizio.
Come richiedere l’acconto inizio lavori

Riesci a far passare il messaggio che il progetto parte nel momento in cui arriva l’acconto sul tuo conto?

Quando si inizia a lavorare insieme, entrambe le parti si stanno prendendo un rischio, che quindi deve essere condiviso.

Diventa un po’ antipatico a quel punto far capire che non è così. Ci vuole il giusto tatto, il modo giusto.

Io gestisco personalmente tutta la fase di negoziazione di un progetto, ma la contabilità è gestita da Carola: è lei che manda le fatture, chiama l’amministrazione, verifica che i pagamenti siano effettuati.
Se nella proposta è definito che il progetto sia costituito da 3 fasi, e che ciascuna preveda una fattura di acconto e una di salto, per un totale di 6 fatture già calendarizzate, io mi aspetto che nel giorno definito i soldi siano sul conto. Punto.

Raramente capita che non sia così, perché il calendario di fatturazione è incluso nella proposta che il cliente ha firmato, e normalmente lavoro con clienti corretti e puntuali.
Ma se proprio avvenisse, è compito di Carola contattare l’amministrazione dell’azienda e chiedere spiegazioni sul ritardato pagamento.
Carola quindi mi dà il semaforo verde oppure rosso. Se il semaforo è verde il lavoro inizia (o procede).
Se il semaforo è rosso il lavoro non inizia (o si ferma). Tutto molto semplice e lineare.
E ti assicuro che fino ad oggi il 99% dei semafori che mi ha dato Carola è stato verde!
Questo doppio canale (mio con l’interlocutore aziendale e di Carola con l’amministrazione) funziona molto bene perché permette di evitare ogni inefficienza e di conseguenza qualsiasi stress.
Un cenno sul Roadmapping

Tu riesci a spezzare il progetto e a farti pagare prima la fase di analisi introduttiva, che aiuta a sviluppare poi una proposta che funziona e che porta risultati?

Ovviamente questo diventa un progetto quotato a parte.
Nel caso di progetti molto impegnativi, è molto utile per entrambe le parti affrontare questa fase preliminare, perché permette di definire al meglio il processo da applicare e gli obiettivi da raggiungere, aumentando esponenzialmente le probabilità di successo.
Il successo di un progetto spesso è misurabile in termini oggettivi, ma genera anche un altro effetto di grande valore: rende felici azienda, designer e di conseguenza me.

Nel caso te la fossi persa, qui c’è la prima parte dove parliamo di:
- Come Paolo ha iniziato la carriera da freelance a… 37 anni!
- Come ha scalato gestendo commesse sempre più grandi e interessanti (gestendo dei team)
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