Roberto Pasini: lo zen e l’arte di essere freelance

Progetta siti web complessi

Spunti utili:

  • Come Roberto usa la tecnologia per trovare nuovi stimoli nella propria professione (pur lavorando quasi sempre in stretto isolamento)
  • Come trasferirsi a Parigi è stato il modo per obbligarsi a fare un salto dimensionale oltre al regime dei minimi
  • Perché frequentare i propri colleghi può aiutare a crescere (anche economicamente)
  • L’onda magica dei 30 anni, perché coglierla e sfruttare la spinta per il decennio successivo
  • Tenere corsi e scrivere libri, due strategie che pagano?
  • Questionario iniziale e telefono silenziato, il metodo Kalamun per la comunicazione con il cliente 🙂

Il tuo lavoro… spiegato alla zia!

Inizierei con una domanda che usiamo con le persone che conosciamo per rompere il ghiaccio: “Spiega il tuo lavoro come se lo facessi con la zia sorda durante la cena di Natale”

Allora zia, hai presente il computer quella cosa con una tastiera davanti?

La gente usa il computer per accedere a servizi a distanza: io creo quei servizi, soprattutto la parte che tu vedi sullo schermo, che interagisce con te.

Mi sembra abbastanza semplice, spiegato così alla zia.

Mi sembra a prova di zia

Non so se volevi qualcosa di più complesso.

In realtà faccio tante cose nella mia attività, però quella trainante è realizzare siti web complessi, cioè ad alta personalizzazione, con integrazione di servizi e la creazione di funzioni su misura.

Questo è il nucleo della mia attività, poi ho anche altre competenze e una buona creatività, per cui mi vendo anche per altre cose che sono poi quelle che mi salvano dalla noia della routine

Intendo quindi grafica tradizionale, grafica web e una serie di altre attività, un po’ meno tecniche, ma che a me piacciono molto anche se non sono il mio core business.

Infatti esplorando il tuo mondo, ho visto che sul sito prevalentemente ti presenti come web designer però ci sono anche cose come la collaborazione con Zandegù per i libri e i corsi con Digital Update…

Sì, faccio anche corsi aziendali, quindi in house, sempre di grafica.

Spesso lego la grafica pura allo UX design cioè al design dell’esperienza utente e al frontend developement, lo sviluppo delle interfacce.

Un mio ambito di interesse recente è la data-visualization.

Nelle aziende queste cose sono ben pagate e mi permettono, molto concretamente, di pagare l’affitto.

Perché hai scelto di diventare freelance?

Ok, entriamo nel vivo.

Ho visto che hai iniziato a fare il freelance a 25 anni nel 2005, come mai hai scelto di farlo?
Come è stata la scelta?

È stata una scelta totalmente inconsapevole, non sapevo a cosa stessi andando incontro, quante tasse avrei pagato, non avevo fatto nessuna considerazione.

Semplicemente ho sempre arrotondato con dei lavoretti fin da quando avevo 18 anni: sono di origini umili, mi serviva qualche soldo per la benzina, prendevo piccole commesse qua e là anche quando lavoravo da dipendente.

In quei primi anni ho accumulato qualche contatto e nel 2005 sono riuscito a prendere quello che allora mi sembrava un cliente molto grosso, cioè il Museo d’Arte Erotica di Venezia che stava per aprire.

Attraverso dei contatti ero riuscito ad aggiudicarmi il sito, facendo un prezzo veramente ridicolo se ci penso adesso, però bastava a darmi la convinzione che avrei potuto smettere di lavorare come dipendente.

L’idea mi stuzzicava per cui mi sono licenziato e ho aperto la Partita IVA senza sapere niente, ma veramente niente, e lì è cominciata l’avventura.

La fortuna di quando hai 25 anni è l’avere pochissime esigenze: pagavo un affitto ridicolo perché convivevo con altri 7 ragazzi, vivevo con poco e per diventare webmaster o grafico non dovevo affrontare chissà quale spesa oltre a un computer nuovo, non rischiavo cioé di investire in materiale che poi non vendevo, non serviva far magazzino.

È un lavoro molto facile anche oggi, ha un livello di accesso molto basso tant’è che ci si buttano tutti.

Senz’altro il vantaggio più grande è stato iniziare abbastanza giovane e con molta spensieratezza, facendo una marea di errori per strada, ma potevo permettermi di farli e quindi li ho fatti tutti.

Questo era il 2005, 13 anni fa, un bel pezzetto di storia da freelance.

Prima lavoravo in azienda e quello che mi stava stretto erano gli orari di lavoro, anche se già allora c’era molta flessibilità, però ho sempre avuto un’anima disobbediente e non mi piaceva molto l’idea dell’orario, soprattutto quello della mattina.

E così ho iniziato.

Nel 2008 poi ho fatto un esperimento: pur mantenendo la mia attività da freelance, sono entrato in una società e ho iniziato a investirci del tempo.

Il tentativo era quello di arrivare ad aziende più grandi, quelle che di solito non considerano i freelance.

Com’è andata?

I primi due anni sono stati molto positivi, poi vuoi la crisi economica, vuoi che la società è un ente complesso da portare avanti, le cose si sono un po’ complicate.

Quando fai una società con degli amici, è facile incappare nei sensi di colpa e nelle tensioni interne: l’aspetto emotivo è molto presente, o almeno per me è stato così.

Mettere d’accordo gli animi e le esigenze di tutti è stato faticoso, per cui ho gettato la spugna due anni e mezzo fa.

Chiusa l’esperienza società, sono abbastanza convinto di non volerla ripetere.

Però è stato bello avere accesso a realtà molto più strutturate.

Al momento non posso lamentarmi della dimensione dei clienti che ho, ma è vero che quando arrivi a un certo livello o fai il consulente, quindi ti occupi marginalmente delle questioni pratiche, o se vuoi fare l’esecutivo delle grandi aziende devi farlo attraverso una struttura, un’agenzia, da freelance non ti affidano quei lavori.

Sei contento oggi della tua situazione?

Oggi sei soddisfatto della tua situazione complessiva?

Sì sono abbastanza soddisfatto, da un paio d‘anni sto lavorando molto per migliorare gli aspetti più critici, e mi riferisco soprattutto alla gestione dei lavori e dei clienti, quindi alla gestione del tempo, perché spesso ho ceduto al ricatto di dover accettare ogni lavoro nel timore di non riuscire a pagarmi le spese.

Così capita che dici di sì anche a lavori sottocosto, o a quelli che magari non vorresti fare.

Ora mi sto costringendo a rifiutare dei lavori, a selezionare i clienti, ad alzare i prezzi, a fare queste operazioni che mi hanno dato, soprattutto negli ultimi tre anni, molto respiro.

Per cui sì, sono contento ma sento che è ancora un percorso in divenire, in particolare per quanto riguarda due aspetti importanti: la scelta dei clienti e la scelta degli strumenti.

Perché gli strumenti sono importanti per te?

Per strumenti che cosa intendi?

Intendo il software, intendo le piattaforme a cui ti affidi.

Ad esempio per me è stato veramente importante, per il mio modo di lavorare, iniziare a usare seriamente GitHub, che in passato ho sempre usato molto male.

Questo è stato un passaggio importante, obbligarmi a utilizzarlo un po’ meglio mi ha fatto risparmiare molto tempo e poi oggi, che spesso lavoro mentre viaggio perché mi sposto frequentemente, è diventato fondamentale usarlo.

E poi per strumenti intendo anche le attrezzature: investire sulla mia professione vuol dire anche acquistare moltissima tecnologia.

Uno pensa sempre ai corsi di aggiornamento, ma io per fortuna non ho mai dovuto spendere troppo in corsi di aggiornamento perché sono un discreto autodidatta, mi piace molto esplorare, studiare e imparare.

Ma l’hardware con cui svolgere il mio lavoro è importantissimo.

È fondamentale investire in tecnologia nuova e scoprire le frontiere più avanzate.

Rassegnarsi, un bel rassegnarsi, a pensare che un tot delle mie entrate non andranno in regali e viaggi ma in device, e non c’è da piangerci sopra.

Per questa ragione è stato molto importante, nella mia carriera, ricominciare ad avere dei soldi da parte.

Riuscire ad accumulare un margine economico, e fino a qualche anno fa non ce l’avevo, mi ha concesso molte libertà: di dire no a certi lavori e di dire sì ad altri molto più complessi, di lunga durata, con scadenze più lunghe, per realtà che pagano a 120 giorni o cose così.

E anche, appunto, poter investire tanto in strumenti.

Cosa intendi per strumenti, sono curioso? Intendi hardware?

Sì hardware, ma anche software.

Tipo la suite Adobe, o la fibra 1Gbit, o l’ultimo smartphone, o avere sia un pc sia un Mac per testare scenari più vari, o un monitor professionale 30 pollici 4K così vedi quanto è bello non vedere i pixel, intendo cose così.

Questi strumenti un po’ ti proiettano in un mondo che non è quello reale, nel senso che la maggior parte delle persone utilizza una tecnologia molto meno avanzata di quella che stai usando tu, quindi ti danno una percezione diversa da quella dell’utilizzatore finale.

D’altra parte ti fanno arrivare prima a quelle che saranno le esigenze del pubblico fra un paio d’anni e questo mi stimola tantissimo.

È importantissimo per me mantenere gli stimoli: io lavoro da solo, non vado neanche in un coworking, le call le faccio di rado e al telefono non rispondo, quindi mi trovo a lavorare in grande isolamento e se non mi concedo degli stimoli, rischio di perdere il gusto di lavorare.

Come lavorare da soli senza perdersi d’animo?

Come si fa a lavorare da soli senza perdersi d’animo?

Io ho provato a lavorare a casa da solo, ma dopo un po’ ho bisogno di uscire, di incontrare qualcuno, prendere un caffè, avere un contatto umano.

Tu questo desiderio non lo senti?

Io apprezzo molto i momenti di solitudine perché li controbilancio con momenti di estremo caos, che di solito coincidono con i viaggi.

Io adesso abito a Parigi, e qui nonostante ci sia un sacco di gente hai un senso di solitudine estremo, cioè ti sembra di stare in mezzo al deserto perché la persona più vicina che conosci sta magari a mezz’ora di metro.

Con i ritmi che ci sono, diventa faticoso vedersi.

Foto di Matteo Pezzi: https://www.matteopezzi.com/

A Parigi ho sentito moltissimo la solitudine, ma quando viaggio, per andare a suonare o per andare a trovare la mia ragazza, la famiglia o degli amici, ho dei periodi di socialità talmente concentrata che poi quando torno non mi manca più.

Io ho bisogno di concentrarmi moltissimo sul lavoro e quando ho persone attorno, anche intime, non ci riesco.

Lavoro in casa per scelta perché mi piace riempire le giornate con altre cose oltre al lavoro, tipo cucinare qualcosa di sano anziché mangiare schifezze in giro, o disegnare, o svolgere le faccende domestiche nei ritagli di tempo.

Se sono in casa posso farle, se sono fuori non ci riesco.

Ma lavorare in casa è anche un’esigenza banalmente economica, perché qui a Parigi gli affitti costano così tanto che non potrei permettermene due.

Per fortuna sto bene da solo e sto bene in casa.

Come hai fatto a superare la soglia dei 30K?

Parliamo di redditi.

Qui in Italia c’è la questione dei minimi, dei 30.000 euro di fatturato che adesso è cambiata un po’.

Prima durava 5 anni e comunque fino ai 35 anni di età potevi restare in questo regime agevolato, adesso è diventato il regime forfettario per cui di fatto se stai sotto i 30.000 euro puoi starci per sempre.

Da un lato, il positivo è che stando nei 30k le tasse non sono alte, dall’altro il negativo è che molti sono spaventati da questa cifra simbolica, percepita un po’ come un tetto e un limite oltre il quale nessuno osa andare.

Tu mi sembra di capire che questo tetto lo hai superato, non so come sia il regime fiscale in Francia.

C’è stato un momento che hai fatto questo salto?

Quello da cui fai fatica a vivere decentemente a quando dici “beh però alla fine me la sto cavando e posso prendermi qualche soddisfazione, non sono tirato, strozzato dalle tasse”.

Io consiglio a tutti di fare quel salto.

Anch’io ho avuto l’esperienza del regime dei minimi, lavoravo in Italia.

Ogni anno arrivavo a ottobre o novembre e mi dicevo che dovevo smettere di fatturare perché se avessi superato quella soglia ci sarebbero state un mucchio di tasse in più da pagare.

Anche qui in Francia c’è il regime dei minimi, è più alto, arriva a 32.600 euro e lo puoi tenere quanto vuoi, superarlo e dopo due anni tornare nel regime dei minimi se gli affari non vanno bene.

Però qui c’è una cosa, crudele se vuoi: devi dimostrare di avere un certo reddito per poter prendere in affitto una casa, altrimenti non te la danno, punto.

Quindi se fatturi poco non hai una casa, e devi magari andare in subaffitto o in colocazione.

È un bello stimolo

È un bello stimolo!

A quel punto se fatturi 30.000 euro ti ridono in faccia, ti trattano da disoccupato.

A me questo ha dato la forza di fare il salto, e che bella liberazione sapere di non avere più un tetto! (un tetto fiscale, ovviamente)

Mi ha stimolato ad alzare i prezzi, a sfruttare al meglio i periodi positivi, ad essere ambizioso.

Sembra paradossale ma è così: se devi spingerti oltre, smetti di pensare che dopo sono dolori e ti concentri sul dare tutto te stesso.

E poi ti proponi in maniera veramente diversa ai clienti o potenziali tali, con più sicurezza e serietà.

E ti confesso che nel giro di poco tempo non dico che ho raddoppiato il fatturato ma quasi.

È uno stimolo che funziona.

Come trovi i tuoi clienti?

Tu oggi com’è che trovi nuovi clienti, nuovi progetti?

Usi dei canali particolari e nel caso, che peso hanno aldilà del mitico passaparola che è il migliore amico di ogni freelance?

Il passaparola è stato fondamentale per me, soprattutto all’inizio.

Adesso è diverso: nell’arco di 10 anni ho accumulato clienti importanti, realtà di medie dimensioni che mi danno fiducia, soddisfazione e non hanno problemi a pagarmi.

Per cui larga parte del lavoro sono progetti grandi con realtà solide, progetti a lungo termine che si rinnovano ogni anno e mi danno sia una certa stabilità economica, sia la tranquillità di non dovermi affannare a cercare altri incarichi.

Quelli che mi mancano per riempirmi la giornata mi arrivano tramite passaparola, indirettamente attraverso i corsi che tengo, o attraverso contatti che nascono in maniera fortuita.

E quegli ambitissimi progetti grossi, permanenti, che si rinnovano, come li hai trovati?

È stato un caso?

Oggi sapresti ripetere questo caso o hai sviluppato un metodo

Credo, senza false modestie, che serva avere delle capacità.

Se non hai capacità la dai da bere solo ai piccoli, se non hai capacità puoi arrivare anche alle realtà un po’ più grandi ma ci arrivi per raccomandazione, contatti… insomma quelle forme molto all’italiana dove ti infilano in qualche modo.

Se hai delle capacità sembra che ti si aprano le porte in maniera casuale, ma in realtà è grazie al sapersi presentare negli ambienti giusti e dimostrare di avere un certo valore, di cui le aziende hanno bisogno, che dà veramente accesso ai grandi numeri.

Non credo di essere l’unico competente, né di essere il migliore, ma credo che le persone davvero preparate siano poche e che siano molto richieste lì fuori.

C’è la tendenza oggi a perdere un sacco di tempo alla ricerca di qualche trucchetto, invece di spendere lo stesso tempo per imparare, studiare, costruire relazioni, insomma per dare valore al proprio lavoro, e questo è sbagliato.
Servono più professionisti e meno saltimbanchi.

Io ti sto parlando dell’Italia, il 90% dei miei clienti sono italiani anche se ho scelto di vivere in Francia.

Le competenze contano tanto in Italia quanto all’estero.

Quando si dice: – All’estero c’è più meritocrazia! – è vero, però in Italia ce n’è comunque a sufficienza.

La prima regola è avere delle competenze, studiare continuamente, impegnarsi tantissimo a 30 anni.

I clienti che ho adesso li ho acquisiti quando avevo 30-32 anni.

Adesso ne ho 38 e secondo me quello dei trenta è proprio il periodo magico.

Poi inizia a diventare un po’ più faticoso perché devi entrare in competizione con quelli che invece scalciano e sono più giovani e disposti ad affrontare sacrifici che tu non hai più voglia di fare.

Dopo i trenta diventa anche più difficile comunicare una certa freschezza e brillantezza mentale ai clienti, perché con gli anni si accumulano gli impegni, le stanchezze, i figli, le case, la salute.

Quindi per me quello dei trenta è stato un periodo magico che adesso sta dando grandi frutti.

Un’altra cosa molto stimolante è stata frequentare luoghi in cui ci sono colleghi, non solo clienti: gente che fa il tuo lavoro.

Lo è stato andare al FreelanceCamp, o al LUG (Linux users group), ho preso parte a un sacco di attività che non avevano un ritorno diretto, ma di sicuro indiretto ce l’hanno avuto.

E l’ho fatto prima di tutto per passione, non per calcolo.

Un’altra cosa importante è stata focalizzarmi su quello che volevo fare: non offrire troppi servizi tutti diversi.

All’inizio ho fatto errori macroscopici, tipo facendo siti internet ho pensato “beh mi propongo anche come provider: ospito i siti sul mio server e mi faccio pagare l’hosting”.

Un suicidio.

Questo e altre cose simili mi hanno distratto tantissimo.

Come la contabilità non è una cosa che voglio fare e preferisco pagare un commercialista, così per l’hosting è meglio che ogni cliente, su mio consiglio, si arrangi direttamente con il provider, e così per tutte le altre cose: ho dovuto scegliere cosa volevo fare e scartare il resto.

È stato un passo importante.

Per noi un altro fattore che ha costituito una svolta è quando abbiamo cominciato ad avere meno progetti piccoli in favore di pochi progetti grossi e ad oggi siamo in questa fase.

Non abbiamo tanti progetti e non abbiamo tanti clienti, ma meglio così perché anche la gestione del cliente e del progetto, assorbe molto tempo e toglie un sacco di energie per fare il lavoro creativo.

Tu adesso quanti progetti gestisci mediamente in un anno?

Ancora troppi, perché gestisco 20-25 progetti diversi per clienti differenti.

Ho deciso di dire no a quasi tutti i freelance e a quasi tutte le piccole realtà perché mi distraggono molto e non sono le cose che mi interessa fare adesso.

Dico sì solo a pochissimi con cui c’è un rapporto consolidato, so che mi trovo bene a lavorarci, so che c’è un livello di competenza molto alto per cui parlano una lingua comune alla mia.

Ma non sono più interessato a prendere il negozietto piccolo o il traduttore che ha appena iniziato e che ha bisogno del sito.

Non voglio denigrarli o parlar male di queste realtà ma non sono quello che a me interessa oggi, quindi lascio volentieri che quei lavori li faccia qualche mio collega che invece ha altre esigenze rispetto alle mie.

Tenere corsi e scrivere libri, investimenti utili?

Stavo pensando a quello che dicevamo prima, sui corsi anche in azienda e al libro che hai pubblicato con Zandegù.

Quelle sono cose che nella tua esperienza hanno dato un ritorno o sono state più una scommessa, un investimento che darà i suoi frutti a lunghissimo termine?

Ti dico: i corsi più che un investimento sono un vero lavoro, perché la formazione è ben pagata.

Magari fai fatica ad avere una classe, a mettere insieme delle persone, con un’offerta formativa così ampia come quella che c’è oggi in Italia, perché sono veramente tante le persone che si buttano a insegnare.

È faticoso, ma se riesci a mettere insieme un po’ di classi, diventa già quello un lavoro, da non disdegnare a livello economico.

Tenere corsi mi ha portato contatti abbastanza buoni.

Non tantissimi ma comunque importanti: sono persone che lavorano dentro ad aziende interessanti, oppure che rimangono ben impressionate da me e magari tra 5 anni mi contatteranno.

Ho tenuto corsi fin da quando ho iniziato a lavorare, non solo con Digital Update, dove insegno adesso, ma anche per l’Arci, per il Comune di Ravenna o per enti di formazione bolognesi, ad esempio.

Quindi i corsi sono stati un’esperienza positiva.

Il libro, che s’intitola “Crisi d’identità”, è stata una scommessa: io l’ho scritto principalmente per me stesso, per riordinare le idee.

Mi è servito a fare il punto della situazione sul mio lavoro dopo 12 anni di attività.

Perché le cose le fai ma alla fine non sai neanche come, finché non torni a rifletterci.

Come quando impari una lingua, dopo un po’ la parli e non ci pensi più.

Scrivere il libro mi ha costretto a pensare di nuovo al perché parlo la lingua della grafica e come funziona la sua grammatica.

È stato molto utile, sapevo già che non c’avrei guadagnato molto e infatti non c’ho guadagnato cifre importanti, ma era anche un investimento in immagine, e se ormai i libri li scrivono tutti è vero anche che avere un libro a catalogo è sempre meglio di non averlo.

E ho apprezzato moltissimo il valore delle case editrici nel processo editoriale, io che venivo dal self-publishing.

È stata una scommessa per vedere se mi avrebbe portato contatti lavorativi: non me li ha portati, almeno per il momento.

Quando è uscito il libro?

La primavera scorsa, non ricordo se maggio o giugno 2017.

È poco ma bisogna dire che Zandegù ha un taglio molto orientato ai freelance e io sto scartando le richieste dei freelance, ed effettivamente qualche freelance mi ha chiesto un preventivo per il sito ma io ho sempre declinato la richiesta.

Può anche darsi che arrivassero dal libro.

Come gestisci il cliente da quando inizia un progetto?

Quando inizi un nuovo progetto per un cliente, tu hai un sistema per impostare il lavoro, creare un sistema di regole e di collaborazione con lui?

Come funziona questo aspetto per la tua attività?

Ho un sistema che ho affinato molto dopo aver conosciuto la mia attuale compagna, anche lei freelance.

Ogni volta che inizia un lavoro nuovo, lei propone un questionario che manda al cliente, così da avere per iscritto gli elementi principali su cui focalizzarsi.

Gliel’ho sostanzialmente rubato, anch’io adesso invio un questionario e mi aiuta molto avere le risposte scritte perché obbliga il cliente a riflettere e a mettere in ordine le idee.

Guarda, non hai idea di quanti abbiano le idee confuse, quasi tutti, soprattutto i più piccoli.

Vogliono avere il lavoro pronto ma non sanno di preciso cosa vogliono e non hanno la pazienza di provare a definirlo, pretendono che sia tu a farlo per loro col rischio di sbagliare, perdere tempo e realizzare un prodotto poco soddisfacente.

Provo una difficoltà enorme nell’impostare un lavoro quando è poco chiaro.

Ho imparato a scartare i lavori in cui capisco subito che non c’è chiarezza da parte del cliente, a scartare i lavori che non hanno delle tempistiche ben definite perché probabilmente non finiranno mai, e poi appunto chiedo di compilare un questionario che adatto di volta in volta in base al tipo di lavoro e di cliente in modo da focalizzare meglio esigenze e aspettative.

Propongo degli strumenti alternativi al telefono, perché un altro problema è che quasi tutti i clienti vorrebbero chiamarmi, confrontarsi con me via telefono, ma per me è troppo dispersivo.

Quando lo spiego di solito capiscono.

Poi con alcuni clienti più importanti faccio fatica a mantenere questa regola perché, data l’importanza, vogliono giustamente avere la priorità e qualche rassicurazione.

Riguardo al telefono io dico a tutti, ed è vero, che non ho nessuna notifica abilitata per cui se suona io non lo sento ma, quando vedo la chiamata persa, li richiamo; se hanno urgenza però è meglio che mi mandino un’email perché quella la controllo di continuo.

Non ha risolto del tutto il problema ma mi ha aiutato molto.

L’email è un canale molto importante, con alcuni clienti quelli con cui ho dei lavori stabili nel tempo, ci siamo dati degli strumenti comuni che sono sostanzialmente:

  • Slack e Telegram, per confrontarsi invece di spedirsi un sacco di email, o per scambiarsi materiale eccetera;
  • Todoist che serve a gestire le check list;
  • Google Drive dove tengo l’archivio di tutti i file di un progetto e restano lì, a disposizione mia e del cliente. È molto utile anche quando mi viene chiesto di fare riferimento a del materiale vecchio e lì lo trovo facilmente e in qualunque posto mi trovi, invece di dover rovistare su chissà quale hard disk.

Un una delle prime guide che abbiamo pubblicato negli scorsi mesi abbiamo affrontato l’argomento del questionario.

Era una guida per aiutare le persone a scremare i clienti e non perdere ore o giornate a fare preventivi.

Nel tuo sistema il questionario lo mandi al cliente prima o dopo aver fatto il preventivo?

Perché noi lo usavamo proprio come metodo non troppo approfondito, un primo gradino per dire “vediamo se investi 10 – 15 minuti per chiarirti le idee prima che io debba investire delle ore a fare un preventivo che magari non verrà accettato”

Sul mio futuro sito vorrei mettere un form in cui chi mi vuole commissionare un lavoro deve scrivere: una descrizione del progetto, il budget che è disposto ad investire, rispondere ad alcuni punti con delle domande standard in modo che già dal primo contatto io possa avere un’idea della complessità del lavoro e della preparazione del cliente, mentre il potenziale cliente possa capire in che fascia di prezzo ricade e avere subito una risposta di massima.

Questa cosa dell’indicarmi un budget per me è importante.

Se non hai definito un budget e mi contatti dicendo “Non so quanto voglio spendere”, probabilmente non sei il mio cliente.

Perché io ho bisogno di clienti che abbiano le idee chiare, soprattutto dal punto di vista economico, e che sperino magari che io sia la persona giusta per raggiungere certi risultati. Questo non sono ancora arrivato a farlo e spero di riuscirci perché credo costituisca una scrematura importante.

Il questionario lo mando dopo che il cliente ha approvato il preventivo perché per me fa già parte del lavoro.

Per esempio, la bozza grafica: spesso mi chiedono una bozza grafica insieme al preventivo.

Io la faccio solo per progetti e per realtà importanti, cioè se è una multinazionale a chiedere il preventivo, gli mando anche una proposta grafica del sito.

In quel caso è un mio investimento che faccio in virtù del ricarico che potrò avere su quel lavoro.

Se invece mi chiede il preventivo una piccola realtà, non è più interessante per me rischiare di investire ore senza avere, nemmeno nel migliore dei casi, un ritorno tangibile; per questo i piccoli si devono fidare di me, del mio portfolio, della sensazione che gli do.

BOX utile su come usare un questionario per qualificare il cliente PRIMA di fare un preventivo
Sul tema trattato da Roberto abbiamo fatto una guida dedicata, la puoi trovare qui

Riesci a vendere un’analisi preliminare?

Hai mai provato a vendere la parte di analisi del tuo lavoro?

In America lo chiamano roadmapping: una piccola consulenza a un prezzo basso che ne so 200, 300, 500 € in cui si lavora insieme una mezza giornata in cui tu dedichi del tempo a studiare per fare poi un preventivo che abbia senso

Non l’ho mai fatto direttamente, ma quando avevo la società siamo riusciti a farlo un paio di volte.

Da solo mi è capitato di svolgere delle analisi di fattibilità, pagate, prima del preventivo.

Sono analisi che servono a capire se il lavoro sarà fattibile e su che basi.

Le aziende mi pagano perché io faccia le analisi del caso alla fine delle quali creo un report che risponde a questa prima domanda: è fattibile?

Se non lo è, il lavoro non parte nemmeno.

Però lo si fa solo per realtà grosse o medio grosse, aziende che credono in questo tipo di investimento prima di iniziare alla cieca un lavoro.

Infatti ci stiamo domandando come questa cosa possa essere applicata al mercato italiano, perché per molti freelance è un po’ come dici tu.

Ad esempio la mia compagna che è architetto, nei suoi primi anni da freelance ha tanto investito, ogni volta che faceva un preventivo faceva già una bozza di render, un’idea di progetto.

Questa cosa puoi farla solo all’inizio perché porta via tantissimo tempo, che hai solo all’inizio appunto.

Ci piacerebbe capire se in Italia si riesce a far passare l’idea di farsi pagare una piccola consulenza prima di iniziare un lavoro.

Probabilmente si tratta comunque di posizionamento, di quanto tu sei credibile e autorevole perché un’azienda accetti di farti fare un’analisi preliminare invece che andare da un altro che non la propone e costa meno.

Io tutte queste cose le ho fatte prevalentemente per realtà italiane.

Da quel che ho capito sono solo le realtà più strutturate ad investire in queste analisi, a capirle e a non bollarle come un:

“ti sto pagando il preventivo”

ma come un:

“ho bisogno di risposte serie perché c’è un business serio da fare e non posso sbagliarlo nelle prime fasi, perché è un progetto complesso”.

Non lo fai sul sito in WordPress per freelance perché lì sono 2000 euro di investimento e non ne vale la pena.

Le aziende grandi su progetti complessi hanno bisogno di vederci chiaro fin dall’inizio e questo si fa anche in Italia.

Ultime domande a bruciapelo

Cos’è il successo per te?

Ah caspita, che domanda difficilissima.

L’indipendenza totale, sapere di cavarmela bene da solo, fare le mie scelte senza subire nessun ricatto economico, morale o affettivo.

Evitare a cuor leggero di rimanere incastrato in quello che qualcun altro ha scelto per me.

Questa libertà purtroppo la si ottiene guadagnando abbastanza.

L’indipendenza costa cara.

Qual è stato il tuo più grande successo?

Lavorativo o, in genere, nella vita?

Sono felicissimo di aver lasciato l’Italia perché mi è costato molta fatica e l’ho fatto contando solo sulle mie forze, quindi per me è un bel successo.

Non lo è in maniera assoluta, ma è comunque un traguardo simbolico; non vorrei sembrasse che gli dia troppa importanza.

Il tuo più grande errore professionale?

Non aver badato alla contabilità come si deve.

Io ho sempre odiato la contabilità e tutto quello che aveva a che fare con la burocrazia ed è stato un errore grosso, che mi trascino ancora oggi.

Poi ho letto “Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” e mi son messo nell’ottica di fare anche le cose che non mi piacciono perché sono importanti e possono addirittura diventare piacevoli.

E quando sono arrivato qui in Francia e mi sono trovato con sigle completamente diverse, con un sistema contabile completamente diverso, tasse diverse da pagare, ho pensato fosse l’occasione giusta per cominciare a capirci qualcosa.

Quindi un mio grande errore, poi l’ho un po’ rimediato, è stato quello di non badare alla contabilità dell’attività.

Se qualcuno ti chiedesse un piano, un consiglio per riuscire a fare il famoso salto da freelance, che cosa gli diresti?

Di non aspettare che sia tutto perfetto, di non aver paura di sbagliare.

Mettersi da parte qualche soldo, che ho visto essere importante perché ti da quell’elasticità per poterti sbilanciare in certi anni e accumulare in certi altri.

Quando hai un po’ di soldi da parte ti devi buttare e investire tantissimo in te stesso e crederci fino in fondo.

Anche se le cose vanno male crederci tantissimo.

Se manca la componente di convinzione personale e cedi al pessimismo, diventa tutto molto, molto più difficile

C’è qualcuno online o anche offline che ci consigli di seguire, diciamo il tuo guru che ti ha illuminato la via in questi anni di crescita professionale?

A me ha illuminato la via l’avere a che fare con moltissimi professionisti diversi, dal più piccolo al più rodato, perché ho visto negli altri tanti errori da non ripetere e tante soluzioni a cui ispirarsi.

Persone normali, non supereroi, che magari nemmeno si immaginano quanto mi hanno aiutato.

Ad esempio Alessandra Farabegoli che per me è stata importante anche se l’ho conosciuta quando già ero freelance da alcuni anni;

Attualmente mi piace un sacco Enrico Marchetto, ha grande energia, è brillante, anche se non fa il mio lavoro e non è nemmeno freelance.

Giocare a carte scoperte e confrontarsi liberamente con decine di altri professionisti è stata la cosa più importante, senza bisogno di guru.

Qui termina la nostra conversazione illuminante con Roberto Pasini.

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